150 anni dell'Unità d'Italia

                                                         Curiosità della "Nuova Italia"
Il censimento del 1861 rivelò all'opinione pubblica che più dei tre quarti della popolazione italiana sopra i cinque anni era analfabeta (il 78%); un dato altissimo, non molto lontano dai peggiori d'Europa, insieme a Spagna e Portogallo. Nel 1864 gli alunni delle scuole secondarie risultavano appena 27.000 e gli universitari erano circa 6000.



Prima dell'unione d'Italia entro in vigore nel regno di Sardegna nel 1860 la "Legge Casati" (che fu estesa poi nel resto dell'italia): l'istruzione obbligatoria per i bambini fino ai 12 anni e riformò l'ordinamento scolastico, separando l'istruzionr tecnica e l'istruzione umanistica. Con la legge Coppino nel 1877 rese gratuita (oltre che obbligatoria) l'istruzione elementare per i bambini dai 6 ai 9 anni.


In circa vent'anni il tasso di alfabetizzazione andò progressivamente aumentando fino a raggiungere, nel 1901, il 50% della popolazione sopra i cinque anni (in particolare i giovani sotto i 25 anni), toccando così, specialmente nelle regioni del nord, i livelli Francesi.

                                                                  Inno d'Italia



Goffredo Mameli

Michele Novaro
 L’inno di Mameli è l’inno nazionale italiano (anche se non è ufficiale). Scritto nell’autunno del 1847 da Goffredo Mameli (morto a soli 21 anni) e musicato da Michele Novaro, l’inno nacque in un fervore patriottico particolare: erano gli anni che precedevano la guerra contro l’Austria. Ma anche dopo, in particolare con Giuseppe Verdi, l’inno assunse una connotazione ulteriore: affidò al Canto degli Italiani il compito di simboleggiare la nostra Patria.






                                                                   Il tricolore
Il tricolore, cioè la bandiera nazionale italiana composta dai colori verde, bianco e rosso a bande verticali, ha sempre rappresentato un elemento capace di unire, in un paese caratterizzato da forti divisioni e opposte ideologie, gli animi degli italiani. I colori furono stabiliti dal Senato di Bologna nel 1796, ma furono resi universali, cioè a dire vessillo di Stato, a Reggio Emilia, nel 1797, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, e poi al congresso della Repubblica Cispadana convocato a Modena lo stesso anno. Ma perché proprio questi 3 colori? In un'Italia attraversata dalle armate Napoleoniche, le numerose Reppubliche d'ispirazione Giacominja che avevano soppiantato gli antichi Stati adottarono quasi tutte con varianti di colore, bandiere con tre fascie di uguale dimensione, ispirate al modello della rivoluzione francese. In realtà, ci sono varie versioni sulla nascita della bandiera tra le quali la versione che a ideare la nostra bandiera furono due studenti patrioti dell'Università di Bologna, Luigi Zamponi e Gianbattista De Rolandis, che nell'autunno del 1794, unirono il bianco e il rosso della città di Bologna ed Asti al verde, colore della speranza, e furono poi catturati e uccisi dalla polizia pontificia per avere organizzato una rivolta contro la Chiesa.

                                                      Gli Italiani a Tavola


Attilio Pustrla
Tra le classi popolari, nel Risorgimento, l'alimentazione a base di carne era ancora un'eccezione. Continuavano ad avere un ruolo fondamentale i cereali (patate e legumi). La cattiva alimentazione causava malattie come la Pellagra (eccessivo consumo di mais). Cominciò a poco a poco a diffondersi per la prima volta sul territorio il consumo di pasta, di riso, di vino, di olio e formaggi.  Questo accadeva per le classi agiate, mentre per i contadini e gli operai l'alimentazione continuava ad essere scarsa e poca di valori nutritivi e legata alle disponibilità di cibo stagionali e territoriali. Nelle tavole delle famiglie povere, rurali e urbane, infatti, non c'èra altro che pane di granturco, minestre in cui erano mescolate polenta, e legumi vari.

                                                                  Inno d'Italia Completo

Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la vittoria?
le porga la chioma,
Chè schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Noi siam da secoli
Calpesti, derisi,
Perchè non siam popolo,
Perchè non siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio 
Chi vincer cu può?
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Dovunque è Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiama Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevè, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamoci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.
           Faccia a faccia con i protagonisti del Risorgimento Italiano
                                            Giuseppe Garibaldi
                                                 "Eroe dei due mondi"                          

Giuseppe Garibaldi

Nel 4 Luglio del 1807 nacque a Nizza. Nel 1824, si imbarcò sulla nave "Costanza"dove lì fece diversi tragitti fino al 1935. A 27 anni si imbarcò sulla "Nautonnier": da Marsiglia verso Rio de Janiero. Rientra in Italia nel 1848 , poco dopo lo scoppio della Prima guerra d'indipendenza. Nel 1854 incontra a Londra Giuseppe Mazzini. Quattro anni più tardi incontra Cavour e divenne maggiore generale de "I Cacciatori delle Alpi" con 32000 uomini. Nel 1860 Garibaldi indossò per la prima volta la camicia rossa e fece la sua prima spedizione da Quarto, Talamone (Orbetello), Marsala dove fu accolto freddamente dalla popolazione. Il 12 maggio 1860 a Salemi, issò su una delle torri del castello Arabo-Normanno il primo tricolore, proclamando Salemi la prima capitale d'Italia, titolo che mantenne per un giorno. Dalla Sicilia risalì la penisola fino a Napoli. Il 26 ottobre incontrò il re Vittorio Emanuele II
nei pressi di Teano. Dopo la conquista del sud combattè la guerra franco-prussiana. Si ritirò a Caprera dove morì  il 2 giugno 1882.

Sapevate che.... 

esistono francobolli con la sua immagine: 12 italiani e 9 mondiali ( Stati Uniti, Uruguay...)
esiste un" pesce di nome Garibaldi": prende il nome dal colore delle camicie dei garibaldini.            
esiste una "piazza Garibaldi" a Città del Messico.
esiste un "cocktail Garibaldi" a base di succo di arancia e bitter.
 quando nacque sua figlia Clelia, Garibaldi piantò un albero a Caprera, presente tutt'ora nel   giardino della  sua casa.

Hanno scritto di lui...

Una testimonianza di Alexandre Dumas
Tra i capi che collaborarono alla difesa di Montevideo, e che saranno compensati dalla riconoscenza non già di una sola città, ma di un'intera nazione, citiamo innanzi a tutti Giuseppe Garibaldi. Giuseppe Garibaldi, bandito dall'Italia, dove aveva combattuto per la libertà; bandito dalla Francia, per aver voluto combattere a favore della medesima causa; bandito dal Rio Grande per aver contribuito a fondare una repubblica, venne a offrire i suoi servigi a Montevideo. Vogliamo tentare di fare conoscere ai nostri contemporanei, dandone un ritratto sia fisico che morale, un uomo di tanta fama che non lo si è potuto attaccare se non calunniandolo.
Fisicamente, Garibaldi è un uomo di 38 anni, di media statura, dalle membra ben proporzionate, con capelli biondi e occhi azzurri, naso,
fronte e mento greci, vale a dire vicini quanto è possibile al vero modello della bellezza. Porta la barba lunga. La sua tenuta ordinaria consiste di un abito ben aderente al corpo, privo di ogni insegna militare. Ha momenti pieni di grazia; la voce, di una dolcezza senza limiti, ricorda un canto. Nelle circostanze ordinarie della vita è piuttosto distratto che attento, e sembra un calcolatore anziché un uomo d'immaginazione; ma pronunciate davanti a lui le parole "indipendenza" e "Italia", ed ecco1o risvegliarsi come un vulcano, gettare fiamme ed eruttare lava. Non si è mai visto Gadbaldi portare un'arma, tranne che in combattimento; al momento dell'azione afferra la prima spada a portata di mano, butta il fodero e si scaglia contro il nemico. Nominato nel 1842 comandante della piccola flotta di Montevideo, egli sostenne nelle acque del Paranà un aspro combattimento contro forze tre volte superiori; quindi, resosi conto che era impossibile prolungare la resistenza, tirò in secco quelle che non chiameremo le sue navi, ma piuttosto le sue barche, vi appiccò il fuoco e alla testa del suo equipaggio si presentò tra i primi alla difesa di Montevideo.
Il ministro della Guerra, Pacheco y Obes, comprese all'istante il proscritto Giuseppe Garibaldi. Questi due uomini non ebbero bisogno che di vedersi per intendersi, e il loro primo incontro segnò l'inizio di una di quelle amicizie così rare nell'epoca attuale. Montevideo, già assediata da terra, fu bloccata sul mare dalla flotta di Rosas. Il ministro della Guerra volle organizzare sul mare una resistenza analoga a quella che aveva già approntata a terra e, sebbene la repubblica non disponesse che di piccoli battelli, arrivò, con l'aiuto di Garibaldi, a mettere in opera questo progetto. E in effetti non erano trascorsi due mesi che quattro piccoli bastimenti inalberanti la bandiera uruguayana presero il mare per combattere la flotta di Rosas, comandata dall'ammiraglio Brown... L' 8 febbraio 1846 il generale Garibaldi, alla testa di 200 italiani, si imbatté in 1.200 uomini di Rosas (tra cui 400 fanti) al comando di don Servando Gomez. Che cosa fece Garibaldi?
Qualsiasi comandante, anche il più valoroso, in una situazione del genere si sarebbe liwitato a guadagnare qualche scontro là dove la linea di difesa era migliore. Non Garibaldi: egli e i suoi 200 uomini attaccano i 1.200 soldati di Rosas e dopo cinque ore di lotta furiosa la fanteria nemica è distrutta, la cavalleria demoralizzata si ritira e Garibaldi resta padrone del campo di battaglia.
Sempre il primo in combattimento, Garibaldi era pure sempre il primo a tentare di attenuare le sofferenze prodotte dalla guerra. Se talvolta compariva negli unIci governativi, era sempre per sollecitare o la grazia per un cospiratore o degli aiuti a favore di una persona colpita dalla sventura. È all'intervento del generale Garibaldi che don Miguel Molina y Haedo, condannato dalle leggi della repubblica, dovette nel 1844 la propria salvezza. A Gualeguaychu, Garibaldi cattura il colonnello Villagra, uno dei più feroci tra gli ufficiali di Rosas, ma lo lascia immediatamente libero, insieme a tutti i suoi uomini. A Ytapevy si incontra con il colonnello Lavalleja e lo sconfigge; l'intera famiglia del colonnello cade nelle sue mani. Egli forma immediatamente una scorta (costituita dagli stessi prigionieri) e rinvia al colonnello i suoi familiari con una lettera piena di cortesia e di generosità. Ripetiamo ancora una volta che per tutto il tempo in cui sono stati a Montevideo, Garibaldi e la sua famiglia hanno vissuto nella più completa povertà. Egli non ebbe mai altre scarpe oltre a quelle militari, e assai spesso i suoi amici furono costretti a ricorrere a sotterfugi per sostituire i suoi abiti ridotti in pezzi con indumenti nuovi. Signori giornalisti che avete trattato Garibaldi da capitano di ventura, scrivete a Montevideo; scrivete agli uomini di governo, ai commercianti, alla gente del popolo, e apprenderete che in questa repubblica di cui voi, repubblicani, patrocinate 1'abbandono, nessun uomo è mai stato stimato tanto universalmente.


[Alexandre Dumas père, Montevideo ou une nouvelle Troie, Paris 1850]

Un episodio particolare...

L'espulsione dall'Assemblea francese della seduta del 8\03\1871 a Bordeaux

La verifica dei poteri era arrivata ai deputati algerini. L'elezione di Gambetta a Orano e di Mocquard a Costantina fu convalidata. Quanto all'elezione di Garibaldi a Orano, il relatore ne propose invece l'annullamento, sulla base dell'argomento che egli «non era francese». Calorosissimi applausi a destra.
Il presidente: «Metto l'annullamento ai voti. Qualcuno desidera prendere la parola?». «Sì, io», disse Victor Hugo. Si fece un silenzio profondo. Victor Hugo parlò in modo ammirevole, con una calma indignazione, se le due cose potessero stare insieme. Il «Moniteur» riporterà le sue parole esatte; io mi limito a riassumerle:
«La Francia ha attraversato un periodo terribile, da cui è uscita sanguinante e vinta. L'Europa ha fatto da spettatrice vigliacca. La Francia ha sempre sposato la causa dell'Europa, ma nessun re, nessuna potenza s'è mossa in suo aiuto. Un solo uomo è intervenuto, che costituiva però, da solo, una potenza. La sua spada, che
aveva già liberato un popolo, voleva salvarne un altro. Egli è venuto, ha combattuto...».
«No! No!», grida la destra infuriata. «Egli non ha combattuto!».
E volano insulti contro Garibaldi. «lo non voglio offendere nessuno» risponde Victor Hugo. «Ma di tutti i generali francesi impegnati in questa guerra Garibaldi è il solo che non sia stato sconfitto!».
Si scatena la tempesta: si grida «All'ordine! All'ordine!». In un intervallo tra due esplosioni, Victor Hugo riprende: «lo chiedo la convalidazione dell' elezione di Garibaldi». Le grida della destra si fanno ancora più violente: «All' ordine! All'ordine! Noi vogliamo che il presidente richiami all'ordine Victor Hugo!»...
Hugo ottiene il silenzio con un gesto della mano e diee: «Faccio la vostra volontà; anzi, vado anche oltre. Tre settimane fa avete rifiutato di ascoltare Garibaldi, oggi rifiutate di ascoltare me. Ebbene, io rassegno le mie
dimissioni». Stupore e costernazione a destra.
[Victor Hugo, Oeuvres complètes, Paris 1912]